ARRIVA LA FINANZIARIA

Di seguito Vi proponiamo il documento elaborato dall’Associazione OASI di Belluno. "Attendiamo commenti ed integrazioni".

LA FINANZIARIA 1: LE NUOVE REGOLE PER LE PENSIONI
Tra le regole destinate a chi è già in pensione, quella che interessa la platea più ampia è la stretta sulle rivalutazioni, che azzera l'indicizzazione per i trattamenti superiori a cinque volte il minimo e la dimezza per quelli compresi fra tre e cinque volte. È anche la regola più contestata, ed è probabile che qualche novità intervenga in Parlamento in sede di conversione del decreto.
Per chi è al lavoro, invece, la novità più rilevante è l'innalzamento progressivo dei parametri per la pensione di vecchiaia delle donne attive nel settore privato o nel lavoro autonomo. Gli scalini previsti dalla manovra partono dal 2020 e a regime, cioè dal 2032, chiederanno 5 anni in più rispetto a oggi.
Da quell'anno, il parametro di base è portato a 65 anni, ma agli scalini si aggiungono gli
adeguamenti automatici legati alla speranza di vita, per cui il parametro effettivo nel 2032 supererà i 67 anni.
Il provvedimento così come è articolato toglie certezza sulle aspettative di pensionamento. Da un lato, il calendario previsto per gli innalzamenti graduali appare eccessivamente lungo e proiettato in un futuro lontano, dall'altro i difetti del meccanismo penalizzano in maniera particolare alcune classi di età che si trovano costrette a "rincorrere" parametri senza la possibilità di raggiungerli.
Partirà dal 2014 e non dal 2015 come previsto, il meccanismo degli adeguamenti triennali dei requisiti di età per accedere alla pensione di vecchiaia e di anzianità, sulla base della dinamica della speranza di vita registrata dall'Istat. Il primo incremento sarà di tre mesi, il secondo (stimato anch'esso in tre mesi dalla relazione tecnica) avverrà nel 2016, i successivi scatteranno ogni tre anni.
Sono confermate le finestre «mobili» introdotte dalla finanziaria del 2010, che prevedono dalla maturazione dei requisiti al pensionamento effettivo un intervallo di 12 mesi per i lavoratori dipendenti e di 18 mesi per gli autonomi.
Per sfavorire i «matrimoni d'interesse», l'aliquota di reversibilità della pensione al coniuge superstite viene ridotta nei casi in cui il matrimonio è stato contratto quando il pensionato ha già superato i 70 anni e la differenza di età fra i coniugi è superiore a 20 anni. La riduzione è del 10% per ogni anno di matrimonio mancante alla durata minima di 10 anni.
In pratica, la riduzione è del 90% se il matrimonio è durato un solo anno, dell'80% se è durato due anni e così via. La norma appare di difficile compatibilità costituzionale, e spinge il legislatore a sindacare su scelte personali che difficilmente possono essere disciplinate da parametri di Legge.
La norma contenuta nel Decreto Legge n° 98 del 6 luglio scorso, che dispone la penalizzazione delle pensioni di reversibilità alle vedove che hanno contratto matrimonio con persone più anziane di almeno 20 anni, contiene più di qualche elemento di incostituzionalità.
Infatti, il governo nel predisporre la cosiddetta norma anti-badante, per porre fine ai matrimoni tra anziani soli e le donne che si prendono cura della loro assistenza, fenomeno peraltro molto limitato, non solo manifesta per l'ennesima volta un pregiudizio xenofobo e razzista, chiaramente esplicitato nei commenti di tanti Ministri, ma non tiene conto dei tanti pronunciamenti della Corte Costituzionale, con i quali è stato ripetutamente dichiarato illegittimo qualsiasi intervento che limiti il diritto alla pensione di reversibilità, in caso di matrimonio contratto in età avanzata e di breve durata.
Dal 1° gennaio 2012, nelle controversie su invalidità civile, inabilità e assegno di invalidità, chi intende far valere in giudizio i propri diritti deve presentare al giudice competente un'istanza di accertamento tecnico per la verifica preventiva delle condizioni sanitarie che legittimano la pretesa. La sentenza pronunciata a conclusione dell'iter è inappellabile.
Le Regioni possono affidare all'Inps, tramite convenzione, l'attività di accertamento dei requisiti sanitari nei procedimenti per ottenere prestazioni di invalidità civile.
Una manovra di inaudita gravità, quella che sarà approvata questa settimana dal Parlamento, che taglieggia ancora una volta lo Stato sociale di questo Paese, facendo pagare la crisi soprattutto ai pensionati e ai dipendenti. La manovra, nella sua iniquità, sembra voler prendere di mira in particolare i diritti dei disabili.
Il governo, con questa manovra, ancora una volta, ha voluto affermare l'equazione invalidità = spreco, giustificando un accanimento nel predisporre misure tese esclusivamente a scovare gli abusi di coloro che percepiscono indebitamente le prestazioni assistenziali, criminalizzando tutti i disabili veri. Un fenomeno quantitativamente irrilevante che per il governo è stato sufficiente per annullare pezzo dopo pezzo i diritti sanciti dalla Costituzione e dalle leggi che ne sono seguite.
Addì, 14 Luglio 2011 P. Belluno Oasi
Monica Bordin – Federica Ren


LA FINANZIARIA 2: Interventi uniformi in un paese diverso
La manovra economica adottata dal Parlamento con urgenza, secondo l’auspicio del Capo dello Stato, per scoraggiare le speculazioni finanziarie a danno dell’intera economia, aveva lo scopo di definire misure correttive necessarie a ricondurre il deficit dello Stato entro la soglia del 3 per cento del Pil nel 2012. L'aggregazione degli effetti del provvedimento per i sottosettori delle Amministrazioni pubbliche evidenzia il diverso contributo al raggiungimento degli obiettivi di deficit.
Le Amministrazioni centrali concorrono in termini di manovra netta, nel triennio 2011-2013, per circa 29,4 miliardi, le Amministrazioni locali contribuiscono per 27,5 miliardi e gli Enti di previdenza e di assistenza sociale per ulteriori 5 miliardi.
Se l’urgenza era giustificata, le misure indicate per ridurre il deficit sono invece apparse decisamente inique, perché concepite in modo che i cittadini, ricchi o poveri, paghino nella stessa misura e non tengono conto dei reali problemi del Paese. La manovra colpisce, infatti, le famiglie a basso reddito e non crea prospettive di crescita e di occupazione soprattutto per i giovani.
Non tiene conto del fatto che, secondo gli ultimissimi dati Istat, la povertà nel nostro Paese interessa l’11,0% delle famiglie italiane, delle quali il 4,6% lo è in termini assoluti. Al contrario, la manovra peggiora in particolare la condizione delle famiglie di ritirati dal lavoro. Si tratta essenzialmente di coppie di anziani con un solo reddito di pensione, la cui quota nel 2010 rispetto all’anno precedente, è aumentata dal 13,7% al 17,1% per La povertà relativa e dal 3,7% al 6,2% per quella assoluta.
Cosi come non tiene conto del fatto che il tasso di disoccupazione nella fascia di età 15-24 anni, continua a salire e a inanellare nuovi record: secondo gli ultimi dati Istat, a maggio 2010 è arrivato a toccare il 29,2%. Rispetto al maggio 2009, il numero di giovani tra i 15 e i 24 anni in cerca di lavoro è salito di 4,7 punti percentuali. L’Ocse indica che tra i 30 Paesi più sviluppati del mondo, quelli maggiormente colpiti da questo fenomeno sono Spagna, Italia e Francia. La disoccupazione giovanile rappresenta una bomba a scoppio ritardato che rischia di intaccare il tessuto sociale, economico e politico del Paese.
La manovra non tiene volutamente conto che nel nostro Paese la concentrazione di reddito è particolarmente accentuata. Difatti, mentre il reddito reale dei paesi Ocse in questi ultimi anni è salito in media dell'1,7% l'anno, con un incremento dell'1,4% per il 10% più povero della popolazione e del 2% per il 10% al top, in Italia l'incremento medio annuo si è fermato allo 0,8% (solo la Turchia ha fatto peggio, con lo 0,5%) e mentre per il 10% della popolazione con il reddito più basso l'aumento è stato solo dello 0,2%, per la fascia dei redditi più elevati è stato dell'1,1%.
Anche i tagli sull’amministrazione pubblica sono dettati con il criterio dell’uniformità quando la situazione nel Paese è tutt’altro che uniforme. Un esempio per tutti. Secondo la relazione del procuratore generale della Corte dei Conti, Giovanni Coppola, al 31 dicembre 2010 il personale a tempo determinato e indeterminato della Regione Sicilia contava con 20.717 unità. Di questi, 1.963 sono dirigenti (in sostanza uno ogni 5,7 dipendenti). La spesa del personale è arrivata a un miliardo 28 milioni di euro (in Lombardia è di 127 milioni).
In pratica, se calcoliamo quanto costa per residente, ne ricaviamo che la burocrazia regionale è costata 204 euro in un anno per ogni siciliano, mentre la stessa voce in Lombardia era di 13 euro. Una situazione che danneggia, a torto, il prestigio di tutta l’amministrazione pubblica e quello dei suoi dipendenti.
Secondo uno studio Censis, la mancata crescita del valore aggiunto delle imprese meridionali è causata dalla presenza pervasiva della criminalità organizzata. Tale volume di ricchezza non prodotta rapportata al valore del PIL del Mezzogiorno ne rappresenta il 2,5%. E questo tasso di zavorramento mafioso annuo, applicato allo sviluppo economico degli ultimi vent’anni, produce degli effetti considerevoli, poiché se non avesse avuto modo di incidere negativamente sull’andamento della produzione, dall’81 ad oggi, il PIL pro-capite del Mezzogiorno avrebbe raggiunto quello del Nord.
In definitiva, affinché una manovra possa incidere positivamente nella nostra società, è necessario che la politica esca dalle secche nelle quali si è cacciata, con una preoccupante presenza del conflitto d’interessi, della corruzione, della concussione, della demonizzazione delle Istituzioni di garanzia, dell’impatto malefico della malavita organizzata.
Addì, 18 Luglio 2011 Enzo Friso

FINANZIARIA 3: Come destrutturare uno Stato, ovvero il liberismo all’italiana.
Con la Finanziaria 2012-2014, Tremonti ha messo in atto l’attacco finale. Essa, infatti, non è altro che un’ulteriore mossa di un disegno di questo governo per destrutturare il sistema Stato - Regioni - Enti Locali.
Il taglio ulteriore dei finanziamenti di decine di milioni di euro agli Enti Locali e alla Sanità, metterà in ginocchio definitivamente la Provincia e i Comuni Bellunesi (e non solo) e porterà a una forte riduzione dell’offerta sanitaria e sociale nei territori di Belluno e Feltre.
Si chiudono reparti negli Ospedali, si tolgono sevizi nei Comuni, le rette delle Case di riposo aumentano per effetto della riduzione delle quote a carico di Comuni e Regione e di conseguenza aumentano quelle a carico delle famiglie.
La Regione Veneto è alla Bancarotta, i continui tagli a cui è stata sottoposta la costringono a ridurre i finanziamenti su tutti i settori. Il Presidente della Regione veneto Luca Zaia e i suoi Assessori si ostinano a dire che con l’assestamento di bilancio, prima a giugno, ora a settembre, sistemeranno tutto, ma ormai la coperta è troppo corta.
Abbiamo assistito nei giorni scorsi alla corsa dei nostri Amministratori ad accaparrarsi le briciole dei fondi Brancher, un goccia nel mare dei tagli che tra l’altro viene finanziata dai nostri vicini di Trento e Bolzano.
La Provincia di Belluno, approvando il bilancio il 30 giugno, è stata costretta a svendere tutto per restare a galla e non dover dichiarare bancarotta.
E tutto questo viene fatto in barba a quel movimento politico di governo che si dichiara ostinatamente per l’autonomia e l’autodeterminazione dei popoli.
Ma ecco cosa ha previsto Tremonti:
1. In sanità i tagli netti programmati saranno di 8 miliardi di euro;
2. Per Regioni, i Comuni e le Provincie i tagli ammontano a più di 18 miliardi;
3. L’obbligo di vendita delle società partecipate dei Comuni, (di fatto la privatizzazione delle municipalizzate, anche se queste servivano a reintegrare i bilanci comunali).
E poi c’è Brunetta:
1. Blocco dei contratti prorogato fino al 2014;
2. L’impossibilità di sostituire il personale che si licenzia o va in pensione;
3. Il vincolo di spesa per il personale congelato al 2009.
La recente manovra finanziaria favorirà ulteriormente l’esternalizzazione di tutti quei servizi, che attualmente vengono garantiti da quel complesso sistema di erogazione pubblico che la nazione aveva pensato e costruito nel dopoguerra.
Ma tutto questo avviene senza un reale controllo dei costi e in un momento di crisi economica mondiale che non è ancora finito e non ha ancora fatto vedere i suoi risvolti peggiori.
Quello che ci dobbiamo chiedere è se ha senso distruggere, proprio ora, quel complesso di meccanismi e istituzioni che fino ad ora hanno costituito la garanzia di un sistema sociale e solidale per l’Italia.
P. Belluno Oasi
Gianluigi Della Giacoma


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